Smith: l’interesse personale contribuisce all’interesse collettivo

«Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dalla loro considerazione del proprio interesse».

Con questo aforisma, tratto dalla sua opera più famosa, “La ricchezza delle nazioni” del 1776, Adam Smith intendeva dire che in un’economia di mercato, le persone non agiscono per altruismo, ma per il proprio interesse personale.

Tuttavia, questo comportamento individuale contribuisce indirettamente al benessere collettivo, poiché la ricerca del proprio profitto porta a una maggiore efficienza e produzione di beni e servizi.

Adam Smith (1723-1790) è stato un filosofo ed economista scozzese, considerato il padre dell’economia politica moderna.

Nato a Kirkcaldy, in Scozia, studiò filosofia morale all’Università di Glasgow e al Balliol College di Oxford.

Dopo aver insegnato filosofia morale a Glasgow, pubblicò “La teoria dei sentimenti morali” nel 1759, un’opera che esplora le basi della moralità e della simpatia umana.

Nel 1776, Smith pubblicò “La ricchezza delle nazioni”, un’opera fondamentale che gettò le basi per l’economia classica.

In questo libro, introdusse concetti chiave come la divisione del lavoro, il libero mercato e la “mano invisibile”, un’idea secondo cui le azioni individuali guidate dall’interesse personale possono portare a risultati positivi per la società nel suo complesso.

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